Lo scenario in cui si muove l'azione dei Servizi ha visto concretizzarsi nella nuova sortita operativa del brigatismo, in continuità con la corrente strategia della "lotta armata", un riemergere del terrorismo interno che attesta come quei militanti siano impegnati in un percorso in cui il gesto eversivo si appunta intenzionalmente su obiettivi in grado di rendere l'azione "militare" veicolo di propaganda e di dialettica presso il più ampio spettro dell'antagonismo oltranzista.
In questo senso, specifica attenzione intelligence è stata sollecitata dall'esigenza di cogliere eventuali indicatori di processi di contaminazione e di derive emulative nelle sacche più estremiste della contestazione rivendicativa, anche al fine di circoscrivere gli ambienti maggiormente permeabili da suggestioni antisistema e, ad un tempo, orientare le linee dell'intervento info-investigativo.
Parallelamente, la congiuntura internazionale non ha visto attutirsi il quadro d'allarme collegato al terrorismo di matrice islamica, qualificando ulteriormente livello di rischio e portata del fenomeno. Al riguardo la molteplicità degli aspetti in cui il radicalismo confessionale è apparso dispiegarsi ha imposto una nuova dimensione dell'analisi che recepisca la correlazione ed il mutuo interagire di minacce e realtà geopolitiche diverse.
Così, tematiche un tempo considerate isolatamente, quali ad esempio la proliferazione di strumenti offensivi non convenzionali, i grandi traffici illeciti e la criminalità economico-finanziaria, sono andate ad integrare un quadro di valutazione composito, rispetto al quale si è proceduto a ridisegnare ed estendere la mappa delle attivazioni, conformandola alla necessità di dotare il dispositivo di sensori in ambiti territoriali ad elevata sensibilità e modellandola sulla finalità di ricomprendere in un'ottica grandangolare e dinamica i differenziati profili di pericolo.
Peculiare impulso è stato impresso, oltreché all'attività di ricerca, al raccordo con altre Amministrazioni, al precipuo scopo di rendere il dato d'intelligence funzionale all'elaborazione di strategie di ampio respiro e fruibile a quelle articolazioni che il mutato atteggiarsi della minaccia ha chiamato a concorrere alla messa a punto delle misure di prevenzione e risposta.
Particolarmente efficaci, in proposito, si sono rivelati i meccanismi di "concertazione" interministeriale istituiti all'indomani dell'11 settembre per favorire un raccordo sinergico tra i vari momenti e le varie esperienze in cui si articola il novero degli operatori della sicurezza su quelle linee individuate come pilastri della lotta al terrorismo ed alla destabilizzazione internazionale: contrasto finanziario, approfondimento degli scenari legati al possibile impiego di sostanze chimiche, biologiche e radiologiche, collaborazione con i Servizi esteri.
Proprio la cooperazione tra Organismi di intelligence rappresenta una risorsa imprescindibile non solo per la politica di sicurezza, ma anche per ogni progetto che preveda una pronunciata proiezione estera del nostro Paese. In questo caso lo scambio informativo può rappresentare "apripista" e canale privilegiato di dialogo.
a. brigatismo e sinistra extraparlamentare
Con l'omicidio Biagi, le "BR-PCC", a circa tre anni di distanza dall'uccisione di D'Antona, sono tornate a riaffermare in maniera dirompente la propria pertinacia eversiva, confermando nel contempo la linea strategica che intervalla l'azione con un "silenzio operativo", durante il quale vengono decisi prossimi bersagli e tempistica.
Il gesto terroristico del 19 marzo testimonia altresì il proposito dell'organizzazione di selezionare e colpire quelle persone che, pur essendo meno conosciute dall'opinione pubblica ed a livello mediatico, rappresentano un significativo punto di riferimento nell'elaborazione dei processi riformatori, specie in materia di modernizzazione del mercato del lavoro.
Del resto, con gli agguati di Bologna e Roma diretti contro esperti accademici di diritto del lavoro, le brigate rosse hanno inteso accreditarsi presso il settore operaio, segnatamente del comparto industriale, come "difensori armati" di quelle istanze rivendicative ed, al tempo stesso, porsi quale forza intimidatrice nei confronti dei sindacati, nel tentativo di acquisire "visibilità" nel dibattito politico-economico nazionale.
Sebbene si tratti di un progetto il cui velleitarismo è testimoniato dagli esiti della precedente stagione della lotta armata nel nostro Paese, esso rischia di produrre echi favorevoli in pur marginali frange estremiste del mondo del lavoro e dell'antagonismo maggiormente ideologizzato.
I numerosi gesti intimidatori che - analogamente a quanto verificatosi dopo l'uccisione di Massimo D'Antona - sono seguiti all'omicidio Biagi in varie realtà industriali della Penisola, con il recupero di espressioni e sigle parabrigatiste, risultano indicativi dell'esistenza di ambienti interessati ad esasperare le problematiche occupazionali, con l'intento di delegittimare il ruolo del sindacato.
Sul piano dell'assetto interno, la formazione brigatista appare avere affinato l'esperienza passata con l'innesto di nuovi moduli organizzativi ed offensivi.
Le risultanze informative e di analisi fanno ritenere che le br siano verosimilmente composte, al momento, da un numero non elevato di militanti, le cui progettualità potrebbero essere ispirate da una "direzione strategica" in parte attiva anche oltre confine, in un disegno comunque avallato dalla componente carceraria irriducibile, tornata a lanciare messaggi all'esterno.
Il gruppo mostra di essere rigidamente compartimentato, con ben definiti ruoli logistici ed operativi, e di privilegiare viepiù il ricorso alle reti telematiche in grado di ridurre i rischi connessi agli incontri personali, considerato anche il restringersi dei margini di agibilità connesso alla costante pressione esercitata dagli apparati di sicurezza.
Si ritiene probabile che, in questa fase di apparente stasi, esso stia verificando i "risultati politici" dell'omicidio di Bologna, cui peraltro non hanno, sinora, fatto riscontro significativi, manifesti consensi.
Quanto sopra induce a stimare che le "BR-PCC" continueranno a pianificare azioni cadenzate nel tempo, attraverso un programma in cui la propaganda armata viene perseguita con una circoscritta esposizione, contro gli obiettivi - già delineati nella precedente relazione - riferiti ai settori più sensibili dello Stato e, in generale, a tutti quegli ambiti in cui si esprimono il dialogo sociale, i propositi riformatori istituzionali - non ultimi quelli in materia di federalismo, previdenza ed istruzione - nonché le politiche di coesione europea ed atlantica.
In questo contesto, anche le frange minori dell'eversione del Centro-Nord potrebbero sfruttare il momento per attuare azioni dimostrative volte a confermare l'adesione al progetto di "lotta armata". D'altronde, lo stesso comunicato di rivendicazione dell'omicidio Biagi sembra contenere una sorta di "chiamata alle armi", con l'esplicito riconoscimento delle altre formazioni che avrebbero finora sostenuto la "guerriglia urbana" e l'iniziativa br.
Sulle problematiche del mondo del lavoro e contro la politica economica del Governo continuano, poi, ad essere mobilitate le componenti oltranziste, intenzionate a radicalizzare i toni del confronto sociale e ad inserirsi strumentalmente nelle situazioni di tensione occupazionale che caratterizzano alcune importanti aziende del Paese.
Il dibattito innescato con l'omicidio Biagi nell'area radicale ha visto emergere, in talune frange marxiste-leniniste che si collocano in una posizione mediana tra le formazioni rivoluzionarie e dell'antagonismo, aperture nei confronti della strategia "militarista" dei gruppi armati. In questo senso, una peculiare azione di vigilanza info-investigativa è rivolta ai rischi di infiltrazioni eversive in comparti sensibili, al fine di cogliere per tempo indicatori di eventuali passaggi verso forme terroristiche.
Su un piano diverso si colloca l'anarchismo insurrezionalista, tornato a mostrare tutta la sua insidiosità nell'azione di piccoli gruppi, per lo più privi di regole organizzative, protagonisti nel Centro-Nord di gesti di basso profilo ma di forte impatto contro simboli di varia natura. Potrebbe inscriversi in questo contesto l'attentato dinamitardo compiuto a Roma il 26 febbraio contro il Ministero dell'Interno: obiettivo e modus operandi risultano in linea con la propaganda ostile del settore - specie dopo gli avvenimenti del vertice G8 di Genova (luglio 2001) - verso le strutture di contrasto e di detenzione. Resta immutato il precedente quadro di mobilitazione di quegli ambienti sulle altre tradizionali tematiche.
Per l'intera area antagonista - molto attiva sul piano dei rapporti con formazioni straniere di analogo orientamento ideologico - la riforma del welfare e della scuola, la questione palestinese, la NATO e la normativa in materia di immigrazione si confermano momenti centrali della contestazione.
In tale ambito, è proseguita l'attività di monitoraggio di quella ristretta ed isolata componente violenta del movimento antiglobalizzazione che tende ad estremizzare il livello della contrapposizione. L'insieme dei riscontri informativi ha evidenziato la possibilità che detti ambienti strumentalizzino la protesta con azioni simboliche, pure violente, soprattutto contro obiettivi connessi con le tematiche del lavoro, come agenzie interinali, segreterie sindacali, uffici della Confindustria e sedi istituzionali.
Le potenzialità informatiche hanno impresso un'accelerazione all'attività dei settori estremisti, che utilizzano il web sia per la pianificazione ed il coordinamento delle proteste, sia per l'attuazione di "azioni di mobilitazione telematica", specie nell'ambito della "lotta" alla liberalizzazione economica ed agli organismi internazionali. Proprio sulla scia della rivendicazione telematica dell'omicidio Biagi, si è registrato il proliferare di siti ed e-mail inneggianti alle br ed a teorie rivoluzionarie, a testimonianza della capacità del circuito internet di convogliare consensi, inducendo pericolose spinte emulative negli ambienti più motivati.
b. destra extraparlamentare
Dalle risultanze informative vanno emergendo segnali di un sensibile incremento dell'attivismo delle frange della destra estrema, in grado di esprimere anche situazioni di violenta contrapposizione.
Alcune componenti radicali si sono evidenziate per una serrata e capillare azione di mobilitazione specie nel Nord-Est, tesa a rilanciare teorie xenofobe ed antioccidentali, in linea col ricorrente riproporsi in Europa di rigurgiti neonazisti ed antisemiti.
In tale contesto, sono all'attenzione i riassetti organizzativi di taluni sodalizi - sovente animati da esponenti della "vecchia guardia" oltranzista - che potrebbero recuperare collaudati schemi operativi propri dell'area, strutturati su un duplice livello, di cui uno di pura copertura e l'altro semiclandestino, attraverso il quale attuare iniziative di più marcata aggressività.
Una progressiva accentuazione propagandistica è stata rilevata soprattutto nel Centro-Nord, ad indicare la ricerca di una maggiore coesione con realtà minori, al fine di ricondurre in un unico alveo le molteplici spinte antisistema del settore. Peraltro, tale disegno aggregativo trova ostacolo nella stessa frammentazione ideologica e progettuale di quell'estremismo, in cui si sovrappongono orientamenti eterogenei, quando non contraddittori.
Rinnovati propositi di far leva su tematiche proprie dell'antagonismo di sinistra - quali l'anticapitalismo e l'antiamericanismo - sono stati registrati sulla spinta degli eventi internazionali ed alla luce della capacità di presa delle istanze antiglobalizzazione.
Attenzione informativa è stata altresì dedicata, per l'immutata pericolosità, ai gruppi naziskin, ancora orientati a dare prevalenza allo spontaneismo ed all'immediatezza dell'azione intimidatoria verso obiettivi di tipo razzista ovvero contro il segno ideologico avverso.
Il movimento “skinhead” ha evidenziato un aumento delle iniziative di vario tenore, anche con finalità provocatorie, soprattutto nel Triveneto - dove continua a rappresentare bacino di reclutamento per le formazioni maggiori - ed in Lombardia, regione in cui alcune frange disporrebbero di mezzi e strutture di un certo rilievo.
Risulta confermato il precedente quadro di valutazione in ordine ai consistenti rapporti con omologhi gruppi stranieri, attraverso appositi coordinamenti sovranazionali, ed ai pericoli di azioni emulative nell'ambito della crescente ostilità verso gli USA e Israele. Il rischio permane anche ad opera di elementi isolati, connotati da acceso fanatismo.
Resta, infine, costantemente monitorato l'avvicinamento ideologico all'islamismo radicale da parte di quei settori della destra extraparlamentare che, nell'evoluzione dello scenario internazionale, potrebbero trovare nuovi stimoli per agire a sostegno della "causa antioccidentale".
Attesa la centralità che esso riveste nel quadro delle minacce di matrice internazionale, l'azione dell'intelligence si è prioritariamente rivolta all'integralismo islamico, e segnatamente al variegato universo radicale che fa capo ad Al Qaida o che ad essa si ispira.
Precipuo impegno è stato parallelamente riservato all'affinamento degli strumenti operativi e di analisi rispetto ad un fenomeno di cui gli eventi dell'11 settembre hanno evidenziato la portata globale, mettendo altresì in luce la molteplicità degli aspetti in cui si dispiega. In quest'ambito - ed in un'ottica di sinergico raccordo con le altre articolazioni interessate - si inseriscono i lavori di tre comitati appositamente istituiti per il coordinamento dell'azione del comparto informativo nei confronti del versante economico-finanziario, della minaccia non convenzionale e della cooperazione con i Servizi collegati, settore, quest'ultimo, cui è stato conferito peculiare impulso proprio in ragione dell'ampia dimensione organizzativa del movimento islamista.
Esso, infatti, risulta disporre di una struttura reticolare che, raggruppando più realtà dell'oltranzismo confessionale, si estende a vari contesti territoriali ricomprendendo cellule ed individui operanti su piani diversi, in una logica di frammentazione, funzionale anche alla compartimentazione difensiva, che vede il sovrapporsi e l'interagire di diversi ambiti illeciti e spazi geografici.
L'attività dei Servizi è stata mirata in primo luogo, oltreché a cogliere tempestivamente ulteriori progettualità terroristiche, a seguire le linee evolutive della minaccia, monitorando movimenti ed attività di soggetti integrati o contigui al fronte universalista di Bin Laden ed individuando aree di penetrazione o consolidamento.
Gli elementi informativi che provengono da fonti di settore, dalla collaborazione internazionale, dagli interrogatori di integralisti catturati nell'area afghano-pakistana e dall'analisi del materiale reperito nel teatro delle operazioni hanno confermato la natura composita dell'organizzazione di Al Qaida.
Ne emerge uno scenario in cui, nonostante l'intervento militare in Afghanistan abbia inciso in modo significativo sul dispositivo logistico-operativo della formazione, questa risulta mantenere inalterato un elevato potenziale offensivo, potendo tuttora contare sull'attivismo di dirigenti di spicco e su risorse finanziarie messe al riparo dall'azione di contrasto.
Si inscrivono in tale contesto le molteplici segnalazioni su possibili attacchi riferiti ad una pluralità di obiettivi - con particolare riguardo ai vettori del trasporto aereo e marittimo, alle strutture economico-commerciali ed a luoghi dall'elevato valore simbolico - e di ambiti territoriali, Europa inclusa, e quelle relative all'arrivo ed al transito nel Continente di cellule terroristiche.
Particolarmente esposti risultano, oltre alle forze internazionali presenti in Afghanistan - in relazione ai segnali sulla riorganizzazione della guerriglia - gli interessi occidentali, specie statunitensi, siti soprattutto nella regione del Golfo, nell'area asiatica ed in talune nazioni africane.
Specifiche attivazioni sono conseguite alle acquisizioni sul possibile impiego di tattiche diversificate - che hanno imposto, ad esempio, il monitoraggio di natanti sospettati di appartenere ad Al Qaida - ed alle informazioni fornite da integralisti detenuti circa l'esistenza di progettualità, messe a punto in epoca precedente agli attacchi dell'11 settembre ed interessanti Paesi occidentali. Dato, questo, da porre in relazione con la tendenza del movimento islamista a procrastinare la fase attuativa dei piani terroristici a congiunture ritenute favorevoli.
L'ampio ed articolato quadro d'allarme in cui si è mossa l'azione dei Servizi ha registrato, accanto al succedersi su base pressoché quotidiana di indicatori di minaccia di vario spessore e portata, il cadenzato ricorso da parte dell'organizzazione di Bin Laden ad esternazioni mediatiche di forte impronta minatoria, sovente fatte coincidere con particolari sviluppi della scena internazionale.
Dette sortite pubbliche, intese in primo luogo a confermare all'uditorio di riferimento la vitalità della formazione, appaiono altresì funzionalmente correlate al disegno strategico radicale, che trova in esse via per ribadire gli obiettivi verso cui indirizzare la jihad, strumento per disorientare l'azione di prevenzione e contrasto e mezzo per mantenere elevata la pressione nei confronti dell'Occidente.
Infatti, se l'analisi del modus operandi adottato dal fronte islamista mostra come l'accrescersi dei proclami intimidatori abbia sovente preceduto il compimento di attentati, la lettura dei più recenti eventi terroristici in Pakistan ed in Tunisia, nel confermare la caratura antioccidentale del progetto di destabilizzazione integralista, ne evidenzia la capacità di esplicitarsi in aree connotate da precarietà - associandosi o ispirando l'attivismo di frange locali - e l'intendimento di riaffermare un concetto di contrapposizione esteso al "nemico" israeliano.
Resta, infatti, centrale la "questione palestinese" che, da tempo considerata come uno dei fini prioritari della jihad, potrebbe fungere da innesco per nuove iniziative controindicate, ampliando il novero degli obiettivi esposti a rischio e dei possibili "portatori" della minaccia.
Al riguardo, il pericolo di un'esportazione al di fuori dell'area mediorientale delle azioni di gruppi attivi nel quadrante si accompagna all'eventualità - di cui si rinvengono i segnali prodromici - di saldature tra frange del radicalismo palestinese, tanto laico che confessionale, e componenti della galassia internazionalista.
Peculiare profilo di rischio è da individuare poi nel grado di autonomia di cui godono i singoli nuclei, inseriti in modo mimetico nel tessuto sociale dei "Paesi ospiti", che induce a ritenere attuabili azioni "a basso costo" finanziario ed organizzativo ad opera di cellule di esigua consistenza o di individui isolati, eventualmente reclutati anche tra i cittadini occidentali convertiti.
Ciò, in un clima in cui il panorama della minaccia si connota anche per la suggestione esercitata dalla tattica dell'attacco suicida e per il connesso, seppure distinto scenario relativo all'uso a fini terroristici di materiali chimici, biologici, radiologici e nucleari. In proposito, le indicazioni finora emerse confermano l'interesse di Al Qaida per azioni con l'impiego di agenti chimici e biologici ovvero con il ricorso ad ordigni tradizionali associati a sostanze radiologiche.
Particolare attenzione è stata riservata all'individuazione delle direttrici della "diaspora arabo-afghana", all'origine di un'ulteriore frammentazione della presenza radicale che ne accentua contestualmente la portata globale.
Infatti la dispersione sulla scena mondiale dei mujaheddin in fuga potrebbe favorire la riorganizzazione del dispositivo logistico del movimento in altri contesti "sensibili", la rivitalizzazione dell'integralismo in zone contigue al nostro Paese, come il Nordafrica, e la sua confluenza in regioni in grado di fungere da avamposto per future proiezioni offensive, come quella balcanica, ove i segnali informativi rilevano un preoccupante intreccio tra islamismo, irredentismo e crimine.
Sussiste, inoltre, l'eventualità che il rientro degli ex-combattenti afghani nei Paesi occidentali di ultima residenza contribuisca a ripristinarvi o crearvi ex novo reti radicali. Anche in tale prospettiva è stato intensificato il monitoraggio delle componenti integraliste, specie d'origine nordafricana, attive in Italia, da tempo evidenziatesi per i contatti con la sponda afghana ed i rapporti con omologhi nuclei individuati in altre nazioni europee.
Gli elementi di intelligence ed i risultati delle operazioni di polizia condotte nel periodo hanno confermato l'esistenza nel nostro Paese di poli impegnati in attività la cui valenza emerge alla luce di una strategia globale che trova nella fase logistica momento nodale per garantire la mobilità dei militanti.
L'ampiezza della trama di rapporti e connessioni tra soggetti di varia nazionalità conferisce concretezza all'ipotesi di reti "dormienti" ed al pericolo legato alla possibilità che i circuiti clandestini offrano appoggio ad elementi operativi provenienti dall'estero.
L'attività svolta in direzione della colonia integralista sul nostro territorio ne ha evidenziato il frequente collegamento con strutture associative confessionali specie del Nord, un'intensificazione dell'attività di propaganda e proselitismo attraverso il circuito telematico ed un incremento dei sentimenti antisraeliani che potrebbe ispirare azioni di carattere offensivo.
Al polarizzarsi del fenomeno in senso antioccidentale corrisponde l'accresciuta possibilità che iniziative assunte dal nostro Paese, interpretate come "persecutorie", lo facciano rientrare tra gli obiettivi a rischio.
Rappresentano poi ulteriore e specifico ambito di attivazione dell'intelligence i canali di finanziamento del terrorismo internazionale, individuati come l'ossatura sulla quale le diverse aggregazioni estremiste costruiscono la propria strategia di aggressione.
In questo contesto sono alla particolare attenzione anche le connessioni del terrorismo con gli ambiti macrocriminali del traffico di armi e droga o con settori del terziario illecito, specie del falso documentale, contigui ai circuiti migratori clandestini.
Inoltre, in un quadro in cui l'estrema diversificazione della minaccia ha imposto un'evoluzione della risposta, al fine di contrastare il fenomeno nei suoi molteplici profili attuali e potenziali, non ha mancato di essere considerata l'ipotesi di iniziative volte a disarticolare strutture critiche informatizzate (cd. minaccia cyberterroristica), attesi i segnali che indicano il diffuso ricorso dei gruppi estremisti di varia matrice allo strumento informatico specie a fini di comunicazione interna e propaganda.
A fronte di un'emergenza che ha dimostrato l'insidiosità del terrorismo e la connessa esposizione della società occidentale, l'azione dei Servizi ha continuato a dirigersi contestualmente verso le altre espressioni in cui si articola il panorama di rischio - con particolare riguardo a talune formazioni dell'estremismo ideologico, del separatismo europeo ed extraeuropeo e della dissidenza - appuntandosi specialmente sulle attivazioni di segno estremista collegate a delicati appuntamenti internazionali e sui contatti mantenuti da ambienti esteri con settori dell'oltranzismo endogeno.
L'attività di intelligence è stata orientata a raccogliere le indicazioni necessarie a definire le evoluzioni interne e le strategie delle principali consorterie criminali nonché le connessioni con i gruppi stranieri. In questo quadro, la vigilanza rivolta ai tentativi di infiltrazione nell'economia legale ha testimoniato ancora la capacità delle organizzazioni di proiettare la propria influenza su aree territoriali sempre più vaste e di operare nel campo commerciale ed industriale, con effetti distorsivi dei mercati finanziari.
In Sicilia, si conferma il quadro strategico di "cosa nostra" già delineato nella precedente relazione, con riguardo anche ai propositi di inserimento nella gestione dei servizi pubblici - in particolare nel campo dell'erogazione delle risorse idriche - ed in realizzazioni infrastrutturali previste nell'area orientale dell'Isola.
Per quanto concerne le singole realtà provinciali sono emersi all'attenzione: a Palermo, il riassetto degli equilibri nelle aree di Caccamo e San Giuseppe Jato, a seguito della cattura di due latitanti di spicco; nell'Agrigentino, la posizione di primo piano di alcuni boss recentemente scarcerati e l'ascesa dei latitanti più pericolosi; a Trapani, un crescente interesse per gli appalti e le estorsioni.
Le indicazioni informative hanno posto in rilievo nuove situazioni nel settore orientale: a Catania, l'inasprimento delle tensioni fra i sodalizi egemoni - in vista dell'accaparramento dei flussi finanziari previsti per l'esecuzione di importanti opere - suscettibile di degenerare in scontri cruenti; a Siracusa, l'instabilità all'interno dei clan maggiori, alla quale potrebbero essere riconducibili recenti omicidi; nel comprensorio di Ragusa, la riaffermazione di una cosca ai danni di una famiglia rivale, grazie anche all'inserimento di malavitosi albanesi.
In Campania, le mire predatorie delle principali consorterie camorristiche appaiono rivolte ai fondi destinati alla riconversione dell'area industriale di Bagnoli ed a quelli stanziati per i progetti di ricostruzione nell'Avellinese.
Sono stati raccolti segnali di frammentazione all'interno di alcuni gruppi storici, con conseguenti tentativi di affermazione da parte di organizzazioni autonome e possibili ripercussioni sul piano delle alleanze operative e degli equilibri. Le acquisizioni intelligence, nel rilevare il consolidamento della supremazia e le ambizioni espansionistiche dei clan dominanti del Capoluogo, confermano una situazione di instabilità nella provincia, evidenziando altresì, a Caserta, il ritorno sulla scena criminale di vecchi sodalizi ed il riaccendersi di contrasti tra gruppi rivali a Salerno e ad Avellino.
In Calabria, appare immutata la posizione di preminenza nel traffico di stupefacenti delle 'ndrine, emerse anche per tentativi di inquinamento dell'economia regionale, con specifico riferimento ai grandi lavori programmati nel settore delle infrastrutture e dei trasporti.
A Reggio Calabria, sono stati segnalati il crescente attivismo delle cosche dell'area di Rosarno nello smercio di cocaina proveniente dal Norditalia nonché le forti pressioni estorsive esercitate sui titolari di esercizi commerciali, spesso costretti a cedere le loro attività.
Se a Crotone si riscontra l'indebolimento delle principali 'ndrine a seguito dell'attività di contrasto delle Forze dell'ordine, nelle altre province perdura uno stato di fluidità tra i vari clan, anche nei rapporti con formazioni criminali straniere, specie per la gestione di traffici di armi e droga.
In Puglia - ove si presenta marcata la conflittualità, specie nelle province di Bari e Lecce - la "sacra corona unita" conferma il ruolo di primo piano nel contrabbando dei tabacchi dalla penisola balcanica alle coste italiane e nel loro collocamento soprattutto sui mercati del Nordeuropa. Permangono interessi di quella criminalità nel commercio di armi di origine esteuropea, nel gioco d'azzardo elettronico, nel racket e nello smaltimento di rifiuti tossici provenienti da altre regioni, mentre resta elevata la pressione intimidatoria nei confronti degli amministratori pubblici.
Il panorama dell'associazionismo criminale in Italia risulta ulteriormente articolato dall'attivismo delle organizzazioni straniere, di cui l'azione informativa conferma la pervasività, da riconnettere all'acquisita capacità di ampliare settori di intervento e margini di operatività.
L'impianto e l'espansione dei sodalizi esogeni in territorio nazionale rimangono correlati al loro coinvolgimento nei maggiori traffici internazionali. L'andamento dei principali "mercati" illeciti ed il ruolo che in quei circuiti rivestono le varie componenti si riflettono infatti anche sulla scena delinquenziale interna, in quanto la movimentazione dei "beni" illegali sulle rotte globali e la loro gestione sulla piazza italiana influiscono direttamente sulla posizione delle consorterie estere, conferendo loro statura autonoma, ovvero ponendole in rapporti di collaborazione con i gruppi domestici.
In tale contesto, l'azione di intelligence ha nuovamente evidenziato il rimarchevole attivismo delle consorterie albanesi, nigeriane, cinesi ed esteuropee, che, nel loro insieme, continuano a trovare fonte primaria di arricchimento nel narcotraffico, nell'immigrazione clandestina e negli illeciti ad essa contigui, quali lo sfruttamento della prostituzione e della manodopera illegale.
La centralità da tempo assunta in tali ambiti criminali da talune di queste espressioni delinquenziali è poi all'origine del registrato coinvolgimento nel settore del riciclaggio e, più in generale, del reinvestimento dei capitali di provenienza illegale, con un'ulteriore accelerazione del loro grado di insidiosità e del radicamento nel tessuto economico.
A fronte di una consistente domanda di emigrazione, che continua ad alimentare un ampio circuito criminale cui è da ricondurre l'organizzazione degli arrivi clandestini in Italia, l'azione informativa si è prioritariamente incentrata sull'individuazione delle modalità operative adottate dai sodalizi coinvolti nell'illecito e sul monitoraggio dei flussi, il cui andamento resta collegato al perdurare di situazioni di crisi o di svantaggio socio-economico nelle aree di provenienza.
I dati acquisiti sulle rotte illegali e sulla loro composizione disegnano infatti una mappatura delle vie d'espatrio dirette verso il territorio nazionale che appare raccordare al nostro Paese i principali epicentri dell'immigrazione attraverso corridoi tracciati e rimodellati dall'attivismo di grandi e piccoli clan malavitosi.
La connotazione transnazionale di quelle consorterie e la loro duttilità gestionale hanno determinato un'estrema frammentazione dei percorsi, che, muovendo dal quadrante anatolico, dalla regione nordafricana, dall'area balcanica e dall'estremo Oriente attingono le nostre frontiere marittime e terrestri con il coinvolgimento di diversi contesti geografici e, non di rado, di diversi attori criminali.
In tale ambito, la ricerca intelligence ha mirato ad acquisire elementi su modalità e direttrici impiegate, sui contesti di reclutamento o di smistamento dei clandestini, sulle connessioni stabilite per la cogestione del business migratorio e sulla presenza in territorio italiano di terminali logistici.
Peculiare rilievo ha assunto, nel semestre, l'incremento del traffico dallo Sri Lanka, operato da articolate consorterie delinquenziali di quella nazionalità che si appoggiano a referenti attivi entro i nostri confini. è di particolare interesse quanto emerso circa il riorientamento di tale "tratta cingalese" sul canale di Suez, punto di transito privilegiato verso le coste della Sicilia e della Calabria.
Il monitoraggio ha, inoltre, confermato il ruolo del Maghreb, quale luogo di scaturigine o confluenza di movimenti migratori in direzione dei litorali meridionali. I Paesi dell'area restano infatti "a monte" di flussi parcellizzati - originati nella stessa regione e nei territori contermini ed articolati su rotte secondarie - e fungono, altresì, da area di raccordo di più ampie movimentazioni gestite su scala sovranazionale. Sotto quest'ultimo profilo, si è evidenziato l'impiego di un canale di istradamento verso l'Europa che privilegia la Tunisia quale tappa di transito, individua nella Libia un centro di raccolta e punta su Malta come snodo finale verso l'Italia.
Il modellarsi della cartografia migratoria secondo schemi che prediligono contesti ove operano rodate strutture dedite allo specifico illecito, trova ulteriore riscontro nella crescente presenza in territorio turco di illegali non solo di etnia curda, ma anche provenienti da Stati nordafricani ed asiatici.
Ciò, quale diretta conseguenza del perdurante attivismo delle organizzazioni curdo-irachene, le quali, forti di un elevato grado di "specializzazione" criminale, appaiono in grado di diversificare le metodologie di gestione, anche mediante alleanze tattiche con altre consorterie. In tale quadro, sono di rilievo le acquisizioni concernenti l'utilizzo, in cooperazione con la mafia siriana, di un corridoio che dal Kurdistan si dipana attraverso Turchia, Siria e Libano per poi approdare in Italia, nonché il sempre più frequente ricorso a vie marittime dirette verso le isole dell'Egeo ed i nostri porti meridionali ed il coinvolgimento della penisola ellenica per il trasferimento di curdi muniti di documentazione falsificata a bordo di traghetti diretti verso i porti di Trieste, Venezia, Ancona e Brindisi.
I flussi originati dal Kurdistan si uniscono poi a quelli cinesi, del sud-est asiatico ed a quelli intraregionali dei limitrofi Paesi dell'Est europeo nella regione balcanica, che continua a rappresentare, specie con l'Albania, frontiera avanzata verso i litorali adriatici. Quel contesto ha di recente evidenziato l'interessamento delle coste croate quale punto di convergenza, via Bosnia-Erzegovina, dei percorsi utilizzati dalla malavita cinese, incentrati finora prevalentemente sul Montenegro, ed il concentramento in Kosovo e Fyrom di infrastrutture dedite alla fornitura di documenti falsi. Esso rimane poi percorso da una pluralità di itinerari sui quali vengono movimentati, in modo associato e mimetico, ulteriori, rimunerative poste dei bilanci di grandi network criminali, quali gli stupefacenti e le donne avviate al meretricio.
Specifica attività informativa è stata riservata alle operazioni di riciclaggio poste in essere dalla criminalità organizzata transnazionale, sia per la loro incidenza contaminante sui circuiti legali, sia per la correlata funzione di potenziamento dei sodalizi malavitosi. I paradisi finanziari si confermano alveo privilegiato per la movimentazione dei capitali di provenienza illecita, secondo strategie di reinvestimento nelle quali trovano spazio la colonizzazione di contesti esteuropei ed un rinnovato, crescente interesse nei riguardi del settore delle scommesse e del gioco.
L'impatto delinquenziale sul tessuto economico nazionale si pone soprattutto con riferimento all'associazionismo mafioso endogeno che, in alcune aree del meridione, rappresenta fattore di condizionamento delle attività imprenditoriali. Per quel che concerne le consorterie estere, a fronte di una presenza eterogenea quanto ad origine, e indipendentemente dal rispettivo grado di visibilità in termini di allarme sociale, sono emerse, per la valenza inquinante, le componenti di provenienza balcanica, euroasiatica ed orientale.
Le evidenze sopra descritte costituiscono, peraltro, la proiezione di un più esteso monitoraggio informativo intrapreso a tutela degli interessi economici nazionali, in direzione di soggetti e fenomeni virtualmente in grado di incidere sullo sviluppo e la competitività del nostro sistema produttivo ed industriale. In questo senso, mirato impegno è stato rivolto alla possibile penetrazione straniera in comparti fondamentali e strategici - attraverso operazioni di take over o l'inserimento nei processi di privatizzazione - nonché ai tentativi di alterazione delle regole del mercato interno. Del pari, sul piano estero, azione di vigilanza ha riguardato l'eventualità di condizionamenti della competizione internazionale.
In sinergico raccordo con le altre amministrazioni dello Stato, è proseguita l'attività di ricerca informativa volta all'individuazione dei circuiti di finanziamento del terrorismo internazionale. Oggetto di analisi sono state non solo le metodologie ed i canali tradizionali, ma anche l'utilizzo di sistemi alternativi di trasferimento di denaro come quello basato sull'intermediazione fiduciaria denominato hawala, anch'esso esposto ad infiltrazioni illecite ed abusi. Sono inoltre emerse all'attenzione pratiche di movimentazione innovative, che prevederebbero compensazioni attraverso il traffico di diamanti ed altri minerali preziosi. Approfondimenti intelligence hanno consentito di precisare ulteriormente il ruolo svolto da talune Organizzazioni non Governative (OnG) ed altri enti assistenziali nel sostegno a militanti e cellule del radicalismo islamico. Nel medesimo contesto, sono stati vagliati i possibili collegamenti con Al Qaida.
Nonostante i mutamenti intervenuti sulla scena internazionale, non è risultato significativamente variato il livello delle attivazioni in danno di obiettivi nazionali ed alleati, finalizzate ad acquisire illecitamente informazioni nei settori economico-finanziario, tecnico-scientifico, politico, diplomatico, militare e di sicurezza.
Sono stati individuati alcuni agenti di Servizi esteri impegnati in tale ambito, rilevandosi, nel contempo, iniziative di natura spionistica anche da parte di organizzazioni radicali, per lo più di ispirazione religiosa, non sempre riconducibili ad entità statuali.
In Italia, il dispositivo di prevenzione e contrasto ha registrato, tra l'altro, la presenza di diplomatici e di altri stranieri, sospettati di appartenere ad Organismi informativi dei rispettivi Paesi; tentativi di penetrazione nei comparti industriale e militare; ricerca intelligence da parte di articolazioni integraliste islamiche nei confronti di istituzioni ed enti ecclesiastici.
Sul versante estero, specifica azione di tutela ha interessato personale e strutture delle nostre Ambasciate, delle sedi consolari e dei contingenti militari.
Nel contrasto alla proliferazione delle armi di distruzione di massa (WMD), l'attività dell'intelligence ha mirato, in modo particolare, all'acquisizione di elementi relativi allo sviluppo di programmi nucleari a fini militari specie in regioni, come quella nordafricana e mediorientale, già percorse da forti tensioni. è proseguito, nel contempo, il monitoraggio in direzione di Paesi impegnati nel completamento di sistemi missilistici, che potrebbero essere utilizzati quali vettori di WMD. In tale contesto, gli intensificati controlli posti in essere sulle esportazioni di tecnologia nazionale, oltre a consentire un'azione di sensibilizzazione delle ditte italiane interessate, hanno portato alla segnalazione di 10 transazioni, assoggettate alla clausola catch all, che consente di bloccare i trasferimenti di beni liberamente esportabili, nei casi di fondati sospetti di impiego in programmi di proliferazione.
L'incremento della vigilanza ha interessato anche materiali e tecnologie destinati al mercato estero, connotati da particolare sensibilità nel settore chimico.
Specifica attenzione ha riguardato l'eventualità di collegamenti tra Stati proliferanti ed organizzazioni terroristiche, finalizzati a dotare queste ultime di mezzi non convenzionali.
L'azione informativa si è inoltre rivolta a trattative, accordi e forniture concernenti trasferimenti illegali di armi e di beni dual use. In tale ambito, sono stati forniti contributi alle autorità nazionali preposte al controllo delle esportazioni di materiale bellico e di prodotti utilizzabili per finalità militari, nonché di armi portatili escluse dalla disciplina della legge 185/90.
La ricerca ha consentito di acquisire elementi e riscontri e, in taluni casi, anche controindicazioni nei confronti del flusso di materiali d'armamento in uscita dall'Italia, diretto verso destinazioni sottoposte a controllo ai sensi del Codice di Condotta Europeo, che impegna i Paesi membri a non consentire le esportazioni di armi nei casi in cui sussistano rischi di un loro impiego a fini di repressione interna, in violazione dei diritti umani o per il prolungamento di situazioni conflittuali.
a. Asia centro-meridionale
Il complesso delle evidenze riguardanti l'Afghanistan ha delineato uno scenario di perdurante, elevata precarietà, in cui potrebbe trovare spazio una recrudescenza delle azioni di guerriglia, da parte delle milizie filotalebane, contro interessi governativi ed occidentali. Sul processo di stabilizzazione grava, altresì, il rischio di interferenze di attori esteri interessati a consolidare la propria influenza nella regione.
Pur a fronte dei positivi risultati ottenuti dalla coalizione internazionale nella localizzazione delle sacche di resistenza dei combattenti afghani ed arabi e nell'individuazione delle vie di fuga da questi utilizzate per esfiltrare in Pakistan, non sono mancate indicazioni concernenti tentativi di riorganizzazione a scopi offensivi ad opera di elementi di vertice del deposto regime di Kabul. Nel contempo, sebbene la ripartizione degli incarichi nell'ambito del governo varato dalla Loya Jirga sia parsa intesa ad assicurare adeguata rappresentanza alle varie etnie, si è mantenuta accesa la competitività tra le diverse componenti, con vaste aree del territorio interessate da episodi di conflittualità interetnica ed interclanica, sovente riconducibili a tensioni e lotte di potere tra leader locali. In questo quadro, ricorrenti segnalazioni hanno posto in luce il pericolo di attacchi terroristici in tutto il Paese, inclusa la capitale, evidenziando l'esposizione a rischio del personale straniero a vario titolo operante in loco e delle forze della coalizione internazionale. Contro quest'ultima, impegnata anche nel contrasto al traffico di droga, si è indirizzata altresì la reazione dei narcotrafficanti, che hanno avviato, nelle province meridionali, una violenta campagna antioccidentale. La precarietà del contesto ha favorito il persistere di considerevoli livelli di criminalità comune, testimoniati dal ripetersi, anche a Kabul, di omicidi, rapine e sequestri di persona.
L'endemico contenzioso sul Kashmir, scandito dal reiterarsi degli attacchi antindiani ad opera dei gruppi separatisti, nel periodo di riferimento ha portato la tensione tra India e Pakistan a livelli tali da far ritenere possibile lo scoppio di un conflitto armato regionale. Nonostante le rispettive dirigenze appaiano orientate a non innalzare i toni del confronto oltre certi limiti, sussiste il rischio di imprevedibili degenerazioni, correlato all'eventualità che la guerriglia kashmira intraprenda azioni di forte impatto, suscettibili di provocare - specie per le pressioni dei settori militari più intransigenti - un intervento di New Delhi contro i campi dei militanti islamici radicali. La delicata congiuntura si è associata al perdurare di situazioni di particolare incidenza sulla sicurezza: l'aumento della conflittualità tra nazionalisti induisti e musulmani ha causato nello Stato indiano di Gujrat centinaia di vittime; in Pakistan, le formazioni integraliste si sono rese responsabili di attentati, anche eclatanti, come l'assalto, il 17 marzo, ad una chiesa cristiana protestante della Capitale (nel corso del quale sono rimasti uccisi, tra gli altri, due congiunti di un diplomatico statunitense), l'attacco suicida dell'8 maggio a Karachi contro un veicolo della marina militare pakistana (che ha provocato la morte di 15 persone, tra cui 11 tecnici francesi) e, quello, il 14 maggio, sempre a Karachi, alla sede del Consolato USA, al quale avrebbero partecipato elementi legati a Bin Laden.
Non sono emersi significativi elementi di novità, rispetto al semestre precedente, nella situazione delle repubbliche dell'Asia centrale ex sovietica, oggetto di attenzione informativa non solo in ragione della contiguità geografica con il teatro di crisi afghano, ma anche per la diffusa presenza di estremisti islamici. In ciascuna di esse - con la sola eccezione del Turkmenistan, ove l'attività di segno estremista è apparsa sinora di basso livello - si è, infatti, confermato il rischio di azioni terroristiche ad opera di militanti del radicalismo uzbeko in fuga dall'Afghanistan. Sempre elevata risulta, inoltre, l'instabilità dei singoli contesti politico-istituzionali, con apici di tensione, di matrice antigovernativa, in Kirghizistan e Tagikistan.
b. Medio Oriente
Il confronto israelo-palestinese ha confermato il suo trend involutivo, ponendo nuove ipoteche sui tempi di ripresa del negoziato politico e sulla stabilizzazione del quadrante. Al crescendo di attentati, con il coinvolgimento - talora in associazione ai gruppi radicali di matrice islamica - di cellule dell'oltranzismo laico ritenute contigue alla leadership dell'Autorità Palestinese (AP), ha corrisposto, da parte dello Stato ebraico, l'avvio di una massiccia operazione militare, con gravi ricadute anche sulle già precarie condizioni di vita della popolazione.
Vicende come quella dell'assedio alla Basilica della Natività sono valse a ribadire, con l'irrinunciabilità della mediazione internazionale, la complessità di una crisi dalle evidenti proiezioni extraregionali.
Lo sviluppo degli eventi ha conferito particolare fluidità alle dinamiche interpalestinesi. La sostanziale disgregazione dell'entità autonoma ha accentuato il dibattito in seno alla fazione politica che ne costituisce asse portante, rivitalizzando, nel contempo, le mai sopite istanze di rinnovamento istituzionale e di ricambio della dirigenza. In questa cornice si colloca il preannunciato progetto di riforma dell'AP che - sollecitato anche dalla necessità di recuperare credibilità sul piano internazionale con un effettivo impegno nel contrastare le violenze - dovrà peraltro misurarsi con numerosi fattori di condizionamento, per lo più domestici: l'intendimento della base militante di rilanciare lo scontro con Israele ricostituendo le strutture operative e rafforzando la cooperazione con gli altri gruppi armati; l'appoggio della popolazione, specie quella giovanile, alla prosecuzione dell'intifada; la determinazione del movimento islamista a mantenere su livelli di aperta conflittualità il confronto con Tel Aviv e ad accrescere la propria influenza sul tessuto civile, in competizione ed in contrapposizione con l'AP.
L'eventualità di un fallimento del processo di rigenerazione delle istituzioni palestinesi ed il conseguente rinvio sine die della riattivazione della trattativa potrebbero far guadagnare altri consensi all'opzione violenta, ridisegnando gli orizzonti strategici di quelle componenti sin qui allineate su posizioni negoziali e conferendo maggiore concretezza al pericolo, più volte segnalato a livello informativo, di una nuova stagione di attentati al di fuori del teatro mediorientale. Altre evoluzioni in ambito regionale risultano influenzate dagli sviluppi della crisi, intrecciandosi altresì con il dibattito sulla definizione concettuale del terrorismo, specie in relazione alla legittimità riconosciuta da attori dell'area all'attività - dagli stessi qualificata come "lotta di liberazione" - delle formazioni armate impegnate contro lo Stato ebraico.
è il caso della situazione in Libano, segnata da ricorrenti attacchi antisraeliani condotti da quella milizia sciita, talora con la partecipazione di frange dell'oltranzismo palestinese, in virtù di una consolidata cooperazione estesa anche ai Territori. Di rilievo, inoltre, l'attivismo di elementi del radicalismo islamico ritenuti in collegamento con ambienti terroristici esteri e le tensioni innescate dall'uccisione, a Beirut, del figlio di uno storico leader palestinese. La congiuntura mediorientale non è parsa condizionare la politica interna della Siria, continuando, piuttosto, ad orientarne gli indirizzi strategici, cui si raccordano, tra l'altro, il rapporto privilegiato con il Libano - ove pure restano vitali taluni settori contrari all'ingerenza di Damasco - il dinamismo esercitato in sede di Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite in tema di crisi israelo-palestinese e le posizioni assunte in materia di lotta al terrorismo internazionale.
Di maggiore impatto sul quadro interno risultano le proiezioni della crisi in Giordania, per i diffusi sentimenti antisraeliani, per l'eventualità di strumentalizzazioni da parte di movimenti islamici - che hanno guadagnato spazi di rilievo nel panorama socio-politico e sindacale - nonché per i frequenti tentativi di utilizzo del territorio giordano quale via di transito per estremisti e materiale d'armamento destinati all'arena palestinese. Rimanderebbe al terrorismo di matrice confessionale l'attentato di Amman del 28 febbraio nel quale sono rimasti uccisi due immigrati, verosimilmente diretto contro un alto funzionario di quei Servizi impegnato nel contrasto al radicalismo islamico.
Riflessi della questione palestinese e minaccia terroristica sono emersi anche dal monitoraggio intelligence in direzione della penisola arabica. Mentre il piano di pace proposto dal principe ereditario saudita ha contribuito a rilanciare il ruolo di Riyad nei consessi interarabi ed internazionali, la solidarietà alla popolazione dei Territori si è tradotta non solo in cospicue donazioni pubbliche e private, ma anche in manifestazioni di piazza che, nel caso del Bahrein, hanno assunto carattere violento. Allo stesso tempo, l'attivismo propagandistico di settori religiosi più intransigenti, dalla marcata connotazione antisraeliana ed antistatunitense, è parso coniugarsi con orientamenti xenofobi propri di alcune realtà locali, acuendo l'insofferenza per la presenza straniera. La regione, più volte segnalata per il radicamento di cellule contigue ad Al Qaida, nonché come area di possibile affluenza di militanti in fuga dall'Afghanistan, ha continuato a ricorrere, nelle evidenze informative, quale potenziale teatro di iniziative terroristiche contro obiettivi occidentali. Specifici profili di rischio sono emersi per quel che concerne l'Arabia Saudita - ove, tra l'altro, sono stati arrestati elementi ritenuti vicini alla rete di Bin Laden - ed il Kuwait. In quest'ultimo Paese sono stati catturati talebani esfiltrati dall'Afghanistan ed è stato intensificato, in cooperazione con gli USA, il controllo sulle attività finanziarie di associazioni caritatevoli risultate coinvolte nel sostegno al leader integralista.
L'assistenza di Washington in funzione antiterrorismo, tradottasi anche nell'addestramento di locali forze speciali, ha potenziato, nello Yemen, il dispositivo di contrasto, consentendo la neutralizzazione di alcune cellule di Al Qaida e di elementi tribali di orientamento antigovernativo. Ciononostante, permane elevato il pericolo di attentati, specie contro obiettivi occidentali, che potrebbero nuovamente riguardare navi statunitensi in transito in quelle acque territoriali.
Quale variabile ulteriore dell'incerto scenario dello scacchiere si pongono le evoluzioni in Iraq, in relazione anche alle articolate posizioni assunte dal mondo arabo-islamico sulla prospettiva di un rovesciamento del regime di Saddam Hussein. Mentre le componenti dell'opposizione hanno accentuato l'attivismo diplomatico anche al fine di convergere in un fronte comune, il rais ha proseguito l'opera di consolidamento della corrente di potere legata al secondogenito, non trascurando, in politica estera, di mostrarsi interessato a recuperare il problematico rapporto con le Nazioni Unite. Di rilievo, nel periodo, un innalzamento della tensione nelle province curde, originato dalla ripresa dell'attività eversiva da parte di una formazione islamista sospettata di legami con Al Qaida.
L'aggravamento della crisi occupazionale ha acuito, in Iran, le frizioni tra governo e forze sociali, già sfociate in cruenti incidenti di piazza. Ha del pari inciso sulla cornice di sicurezza - provocando ricorrenti scontri armati con gli apparati di polizia - la pervasività dei narcotrafficanti, interessati ad utilizzare il territorio iraniano per il transito e la raffinazione dell'eroina proveniente dall'Afghanistan e dal Pakistan. Non ha fatto registrare significativi mutamenti il confronto tra clero conservatore e settori riformisti, ripetutamente oggetto di interventi repressivi per iniziative, anche in tema di politica internazionale e programmazione economica, ritenute contrarie all'ortodossia islamica. Il dibattito non manca di riflessi esterni, attesa la ferma opposizione ad ogni ipotesi di dialogo con gli Stati Uniti da parte degli ambienti tradizionalisti.
c. Nordafrica
Nell'ambito delle proiezioni estere dell'intelligence, resta centrale l'attenzione riservata al Nordafrica, i cui sviluppi vengono seguiti, anche in un'ottica di collaborazione con i Servizi di quei Paesi, con prioritario riferimento alla minaccia del radicalismo confessionale, che trova nell'area differenti espressioni, paradigmatiche della sua composita natura. L'islamismo ha continuato ad assumere veste destabilizzante in Algeria, rappresenta una corrente di rilievo nella scena egiziana e mostra di ricercare nuovi teatri operativi in Tunisia ed in Marocco, come evidenziato dall'attentato, in aprile, alla sinagoga di Djerba e dall'arresto, nel Regno alawita, di presunti appartenenti ad Al Qaida, sospettati di pianificazioni terroristiche ai danni di navi della coalizione internazionale.
L'area rimane inoltre connotata da problemi socio-economici - alla cui soluzione si frappongono tra l'altro divisioni e contenziosi che ostacolano l'integrazione regionale - che, alimentando flussi migratori irregolari ed il connesso "terziario" criminale, costituiscono potenziale sostrato per una rivitalizzazione dell'attivismo integralista. Ciò, specie tenendo conto della possibilità di un riposizionamento in loco dei combattenti provenienti dall'Afghanistan e della correlata eventualità che tale "diaspora", implementando le compagini estremiste autoctone, ne determini una polarizzazione in senso internazionalista.
In tale contesto, la situazione algerina resta pesantemente condizionata dall'attivismo delle formazioni armate. Nonostante il rafforzamento del dispositivo di contrasto e l'uccisione di uno dei leader dell'eversione, i gruppi radicali hanno mostrato rinnovata capacità offensiva anche nei centri urbani, risultando responsabili, specie nelle regioni settentrionali, di numerose azioni terroristiche. A costituire ulteriore fattore di criticità si pone il perdurare delle tensioni in Cabilia, all'origine di nuovi e violenti scontri di piazza alla vigilia delle elezioni a fine maggio.
Un riaccendersi del radicalismo resta possibile anche in Egitto, dove manifestazioni antisraeliane ed antioccidentali sono seguite all'acuirsi della crisi israelopalestinese. Pur a fronte di un generalizzato rallentamento delle attività delle principali organizzazioni integraliste, l'Amministrazione cairota è chiamata ad esercitare il proprio tradizionale ruolo di mediazione per la ripresa del dialogo mediorientale in un contesto in cui la propaganda massimalista di talune aggregazioni fortemente radicate in quel tessuto sociale si associa alle negative ripercussioni della congiuntura internazionale sull'economia del Paese.
L'emergenza terroristica conseguente agli attacchi negli USA ha visto consolidare le aperture della Libia verso l'Occidente, in coerenza con gli sforzi diplomatici di Tripoli intesi a riguadagnare peso e centralità sulla scena internazionale, mentre ha trovato conferma il quadro precedentemente delineato circa il peculiare dinamismo di quella dirigenza anche in ambito regionale.
Al particolare impegno sul versante estero ha corrisposto, sul piano interno, il varo di misure intese ad imprimere impulso all'economia nazionale, tra le quali vanno annoverate i progetti di realizzazione di importanti infrastrutture con il concorso di partners stranieri. Sulla cornice di sicurezza hanno inciso il deterioramento dell'ordine pubblico e l'aumento degli ingressi clandestini attraverso le frontiere meridionali, cui sono correlate le partenze illegali in direzione dell'Europa.
d. Corno d'Africa ed Africa subsahariana
A fronte degli ulteriori progressi nella normalizzazione tra Etiopia ed Eritrea, solo in parte condizionati da un irrisolto contenzioso confinario, sono emersi all'attenzione, all'interno del contesto etiope, taluni focolai di tensione che, seppure localmente circoscritti, potrebbero incidere sulla stabilità del Paese. Le autorità di Addis Abeba hanno infatti dovuto misurarsi con l'accresciuto attivismo di movimenti armati indipendentisti, con l'acuirsi della violenza interetnica e con manifestazioni antigovernative sfociate in sanguinosi incidenti di piazza. I fermenti in Eritrea restano invece legati alla connotazione autoritaria di quella dirigenza, restia ad accogliere le istanze di democratizzazione avanzate dalla corrente riformista, mentre contrasti sullo sfruttamento delle risorse ittiche hanno portato ad un irrigidimento nelle relazioni con lo Yemen.
Non ha evidenziato elementi di novità la situazione in Somalia che, nonostante gli sforzi della diplomazia regionale, è stata ancora caratterizzata da elevata conflittualità in diverse aree del Paese. Particolarmente critiche le condizioni di sicurezza nella Capitale, teatro di combattimenti tra forze governative e fazioni dell'opposizione, e nelle regioni del Sud, ove cruenti scontri interclanici hanno provocato la fuga verso il Kenya di circa 20mila persone.
Del pari, non si rilevano mutamenti di rilievo in Sudan, sia per le tensioni politiche interne, sia per il confronto, nelle zone meridionali, tra Khartoum e milizie armate antiregime. La solidarietà alla popolazione palestinese, tradottasi in massive manifestazioni popolari, si è coniugata, in taluni casi, con iniziative propagandistiche di stampo antioccidentale.
Sono state seguite, infine, alcune realtà dell'Africa centrale, come il Burundi, in cui la violenza terroristica di matrice etnica convive con l'attivismo armato di locali formazioni dissidenti, la Repubblica Democratica del Congo, ove si è rilevata l'accentuata operatività dei gruppi ribelli, ed il Madagascar, attraversato da una crisi istituzionale sfociata in un duro confronto tra opposti schieramenti.
e. Balcani
Nei singoli contesti dell'area, il processo di stabilizzazione politico-istituzionale ha fatto registrare significativi passaggi, quali l'approvazione dell'accordo sulla nuova entità di Serbia e Montenegro; la presentazione, in Kosovo, di un programma di governo incentrato sul consolidamento delle strutture democratiche e sulla tutela dei diritti di tutte le etnie; l'adozione, nella Fyrom, di misure atte a favorire la riconciliazione nazionale; l'attenuazione dei toni nella dialettica politica in Albania e l'ingresso della Bosnia Erzegovina nel Consiglio d'Europa. Accanto a tali evoluzioni, peraltro, sopravvivono indicatori di opposto segno che non consentono di escludere inversioni di tendenza. In special modo, non sono parsi regredire quei fenomeni, di configurazione trasversale, che costituiscono il principale fattore di incidenza sulle prospettive di sviluppo della regione e, soprattutto, sulla cornice di sicurezza. In questo senso, con riferimento a situazioni di convivenza multietnica che hanno evidenziato spinte oltranziste di diversificata provenienza - portatrici di progettualità ostili dirette ora verso altre componenti, ora verso la comunità internazionale - resta motivo di particolare preoccupazione l'estremismo separatista dell'etnia albanese, rispondente ad un disegno unificante di più realtà balcaniche e maggiormente propenso, rispetto al passato, a stabilire legami con il radicalismo islamico. La linea tracciata dall'attivismo delle formazioni paramilitari, dal Kosovo alla Macedonia, dal Montenegro alla stessa Albania, ha coinciso, sovente, con la trama tessuta dalla militanza integralista, sia autoctona, sia di provenienza arabo-islamica, non di rado collegata al contesto bosniaco, ove operano emanazioni di influenti sodalizi internazionali, nonché strutturate forme endogene di associazionismo confessionale di orientamento radicale, cui sono state attribuite iniziative e progettualità controindicate. Quali ambiti privilegiati per lo sviluppo di interazioni, specie per quel che concerne la propaganda, l'addestramento ed il procacciamento di armi e finanziamenti, sono emerse all'attenzione talune Organizzazioni non Governative risultate colluse con formazioni terroristiche.
Imprescindibile compartecipe dei circuiti di illegalità alimentati dall'oltranzismo etnico ed ideologico-confessionale resta la criminalità organizzata, che controlla vaste porzioni di territorio, inclusi alcuni tratti confinari, favorendo lo spostamento di militanti ed il transito di droga, armi e clandestini secondo itinerari e strategie operative in costante evoluzione. La segnalata costituzione, nell'area, di società ed imprese che sarebbero subentrate a strutture colpite, per il sostegno all'estremismo islamico, da provvedimenti restrittivi o sanzionatori, oltre a testimoniare le capacità rigenerative di certi meccanismi di finanziamento del fondamentalismo, ne lascia ipotizzare, anche in questo caso, connessioni con ambienti affaristico-criminali.
f. quadrante euroasiatico
Ha continuato a catalizzare l'attenzione informativa la crisi in Cecenia che, oltre a costituire immanente fattore di rischio per le forze russe impegnate nell'area, rappresenta potenziale riferimento per il terrorismo islamico internazionale, in virtù dei risalenti contatti tra separatisti caucasici e miliziani di Al Qaida. L'ipotesi di convergenze operative con elementi arabo-afghani - emersa in varie acquisizioni dell'intelligence - appare suscettibile di sopravvivere all'avvenuta uccisione, in marzo, di un elemento di spicco della guerriglia, legato ai vertici della rete di Bin Laden, cui è seguita la tempestiva designazione del nuovo leader. Ad acuire ulteriormente la tensione è intervenuto, in maggio, un eclatante attentato in Daghestan, attribuito ad estremisti locali vicini alle formazioni cecene. La politica di sicurezza di Mosca ha visto il varo, a sviluppo di precedenti innovazioni normative, di nuovi strumenti di contrasto alla criminalità economica e si è dovuta misurare con il traffico di stupefacenti dall'Afghanistan che ha fatto registrare una preoccupante recrudescenza.
Il rafforzamento, in Ucraina, del dispositivo frontaliero attesta l'attenzione riservata da quelle autorità al rischio di importazione di fenomeni transnazionali, quali il terrorismo, il commercio di droga e l'immigrazione clandestina.
Il confronto tra governo e opposizione - che anche in altre repubbliche dell'area, come il Belarus, fa sovente registrare un inasprimento dei toni - in Moldova si è tradotto in contestazioni di piazza, mentre sulla cornice di sicurezza hanno inciso la presenza di elementi sospettati di contiguità con organizzazioni terroristiche di matrice islamica e con gruppi criminali della regione secessionista del Trans Dnestr. Come delineato nello scorso semestre, l'aggravarsi dei rapporti tra quest'ultima entità ed il governo centrale è sfociato nell'interruzione delle trattative. Anche nelle repubbliche caucasiche della Comunità degli Stati Indipendenti si sono mantenuti invariati gli indicatori di instabilità che, per l'Armenia e l'Azerbaigian, rimandano alle rispettive situazioni interne ed all'irrisolto contenzioso sul Nagorno-Karabakh, mentre, per la Georgia, riguardano le tensioni con l'autoproclamata repubblica dell'Abkhazia e le infiltrazioni, nella Valle di Pankisi, di guerriglieri ceceni. Va rilevato, infine, che il Paese - ove sarebbero affluiti anche elementi di Al Qaida - è stato indicato quale potenziale teatro di azioni terroristiche.
g. altri contesti di interesse
La pronunciata capacità contaminante delle dinamiche macroeconomiche ed i rischi di un effetto-domino tra entità nazionali contigue ha conferito specifica rilevanza a talune situazioni in Sud America. Il monitoraggio ha così ricompreso: in Argentina, il rischio di nuovi tumulti legati alla grave crisi inflattiva ed agli elevati tassi di disoccupazione; in Brasile, la protesta sociale, che è parsa protesa a stabilire collegamenti con organizzazioni antagoniste estere, e la pervasività del crimine organizzato, attivo soprattutto nei settori del narcotraffico e del riciclaggio; in Colombia, le offensive armate della guerriglia che, tradizionalmente operativa nelle aree rurali, si è rivolta contro obiettivi politici e della Chiesa cattolica presenti nei centri urbani; in Perù ed Uruguay l'incremento delle tensioni sociali; in Venezuela il pericolo di una radicalizzazione del confronto politico, dopo il fallito colpo di stato di aprile.
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